I luoghi de "Il Tesoro della Certosa".
Ho volutamente lasciato quasi “anonimo”, nel capitolo 26 de “Il Tesoro della Certosa”, l’autore del quadro di fronte al quale il nostro Lorenzo rievoca l’immagine di sua madre.
Non mi piace infatti apparire saccente agli occhi del lettore. Preferisco lasciar scorrere la narrazione e stimolare solo quelli più attenti e motivati a fare qualche ricerca per conto loro.
A beneficio di chi decide o ha deciso di seguirmi in questa mia avventura da scrittore, ho pensato tuttavia di dare qualche notizia in più su questo come su altri particolari del romanzo che credo giustifichino qualche approfondimento.
D’altronde è proprio questo che mi appassiona e già di per sé è un motivo più che valido.
Ebbene si, il “Michelangelo non-so-chi” di cui parla Antonio nel romanzo mentre dialoga con Lorenzo è proprio lui, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. In fuga da Roma per sottrarsi alla condanna alla decapitazione subìta a seguito dell'omicidio di un suo rivale, Michelangelo si rifugiò a Napoli per circa un anno, a cavallo tra il 1606 e il 1607. Vi tornerà di li a qualche anno dopo il soggiorno a Malta e in Sicilia.
In questo primo periodo "napoletano" dipinse numerosi capolavori, dei quali solo due sono rimasti nella città partenopea.
Uno di questi è sicuramente uno dei più importanti del Caravaggio: Le Sette Opere della Misericordia.
Parliamo prima, però della chiesa che lo ospita, che fu la prima sede del Pio Monte della
Misericordia. Questo ente benefico fu fondato nel 1602 per volontà di un gruppo di sette giovani nobili napoletani che già da alcuni anni si riunivano tutti i venerdì presso l’Ospedale degli Incurabili per provvedere a loro spese a numerose opere di beneficenza e assistenza con l'obiettivo di dare cibo agli ammalati. Accumulato un discreto patrimonio optarono per una sede stabile che fu proprio questa piccola chiesa, eretta tra il 1607 e il 1621 sul Decumano Maggiore, nel tratto noto come via de’ Tribunali. Questa via è detta così
perché porta a Castel Capuano, uno dei Castelli di Napoli, eretto nel 1160 e già adibito a reggia in cui, ad opera del viceré don Pedro de Toledo, furono riuniti nel 1537 le sedi di buona parte delle corti di giustizia del Regno, già sparse per la città, un Palazzo di Giustizia che è rimasto lì nei secoli fino al suo recente trasferimento nel Centro Direzionale.
La chiesa che oggi troviamo come parte dell’imponente palazzo posto con il suo porticato in piperno a cinque arcate di fronte a piazza Sisto Riario Sforza, praticamente alle spalle del Duomo, dove possiamo ammirare ancor oggi l’obelisco con la statua di S. Gennaro, non è però quella di cui si parla nel romanzo, dove si incontrano Lorenzo e Antonio al riparo da occhi ed orecchie indiscrete.
La “nostra” chiesa fu infatti demolita
nel 1653 e ricostruita integralmente a pianta ottagonale per essere appunto inserita nel nuovo stabile più grande in base al progetto dell’architetto Francesco Antonio Picchiatti. Oggi è un complesso museale. Della vecchia chiesetta non c’è altra notizia o traccia, ma sappiamo probabilmente che era a pianta rettangolare, a tre navate e senza cupola, un po' come descritta nel romanzo, ma già dotata di diverse tele tra cui appunto la pala del Caravaggio dietro l’altare maggiore.
Non sono un critico d’arte, quindi sull'opera riporto quanto descritto sul sito del Pio Monte della Misericordia :
«L’enigmatico dipinto, tra i più importanti del turbolento pittore, in fuga da Roma dopo la condanna per omicidio, raffigura con grande realismo, in un intreccio di personaggi presi dalla strada, le attività di beneficenza dell’Ente, ispirate alle Opere di Misericordia corporale. È la prima commissione per la decorazione della Chiesa del Monte, pagata 400 ducati. In una composizione complessa e rivoluzionaria, è raffigurata in alto la Madonna di Misericordia col Bambino, sorretta dagli angeli, mentre, in basso, l’incastro di figure, con la loro complessa gestualità, allude simbolicamente alle Opere di Misericordia. Nella scena, che sembra svolgersi proprio in un buio crocevia napoletano, si riconoscono: a destra Cimone in carcere allattato dalla figlia Pero (dar da mangiare agli affamati e visitare i carcerati); dietro il muro del carcere avanza un becchino che trasporta un cadavere, del quale si vedono solo i piedi, seguito da un sacerdote con una torcia (seppellire i morti); a sinistra, in primo piano, un cavaliere con la piuma (S. Martino), divide il mantello con il povero, raffigurato di spalle, ed accanto un infermo dalle mani giunte (vestire gli ignudi e visitare gli infermi); più indietro, un uomo dal volto emaciato, con una conchiglia sul cappello (S. Giacomo). È accolto dall’uomo di fronte (ospitare i pellegrini); all’estrema sinistra, sul fondo, ecco Sansone che beve dalla mascella d’asino (dar da bere agli assetati).
L’opera esprime, tramite un forte contrasto di luci, una visione diretta della realtà, diventando punto di riferimento per i pittori locali, legati ad una pittura devota e tardo-manieristica, aprendo così la nuova stagione seicentesca del naturalismo a Napoli. Un quadro che manifesta, con realtà di azioni, il sentimento di comprensione e compassione che rende partecipi delle sofferenze altrui, in una totalità di amore e di dolore.»
Indubbiamente un vero capolavoro, forse il più importante delle tre opere del Caravaggio che sono rimaste a Napoli. In un gioco di luci e ombre, il caratteristico ed esplosivo chiaroscuro del Caravaggio ancor oggi ci sbalordisce per il suo effetto realistico.
Aggiungo un paio di curiosità.
Alcune radiografie effettuate nel 1969 rivelano che originariamente nella parte superiore del dipinto erano previsti tre angeli. Successivamente Caravaggio ne ha sostituito uno con il Bambino Gesù e ha aggiunto Maria ottenendo il quadro che vediamo oggi.
Il titolo della chiesa è 'Nostra Signora della Misericordia' o 'Santa Maria della Misericordia', perché Maria è conosciuta come mater misericordiae.
La pala è rimasta nella sua collocazione originaria, dietro l'altare maggiore della chiesa anche dopo la costruzione della nuova chiesa perché i governatori del Pio Monte nel 1613 fissarono una condizione inderogabile che prescriveva che il dipinto rimanesse in quella cappella senza alcuna possibilità di rimozione da tale luogo.
L'osservanza di questa disposizione ha in sostanza impedito nel 2019, tra mille polemiche, che il quadro facesse parte della Mostra dedicata al Caravaggio presso il Museo di Capodimonte che esponeva quasi tutte le opere dipinte dall'artista a Napoli. Anche se c'è da ricordare che precedentemente il dipinto era stato invece comunque spostato nello stesso museo per motivi di sicurezza dopo il terremoto del 1980 con rientro nella sua collocazione nel 1991, e poi dieci anni dopo per il restauro della tela e ritorno nella Chiesa di via Tribunali nel 2005.
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