I miei romanzi ai Raggi "X"
![Dipinto - Al Telaio - di Antonio Mura 1902-1972](https://static.wixstatic.com/media/e26125_31f88c488a184cd6a253800c66ff483e~mv2.jpg/v1/fill/w_747,h_571,al_c,q_85,enc_auto/e26125_31f88c488a184cd6a253800c66ff483e~mv2.jpg)
Come anticipato tempo fa in un mio post sul personaggio di Menuccia, co-protagonista nel mio primo romanzo, “Il Tesoro della Certosa”, eccovi una nota che riguarda il lino di Capri nel ‘600.
La tessitura del lino era una delle poche risorse economiche della Capri dell’epoca che potremmo oggi definire da esportazione. La pianta cresceva spontanea e in abbondanza in tutta l’isola, specialmente sulle alture di Anacapri, tanto da dare il nome Linaro ad una regione, proprio là dove la nostra Menuccia, come tante altre isolane, si reca personalmente per scegliere le migliori piante per il suo telaio e coglierle tagliandole col falcetto, mai sradicandole.
![Il notiziario delle produzioni particolari del Regno di Napoli - 1792 - Vincenzo Corrado](https://static.wixstatic.com/media/e26125_b2e4cebb1cd344b6b5b2168bddfae64a~mv2.jpg/v1/fill/w_573,h_765,al_c,q_85,enc_auto/e26125_b2e4cebb1cd344b6b5b2168bddfae64a~mv2.jpg)
Nel suo Il notiziario delle produzioni particolari del Regno di Napoli del 1792, Vincenzo Corrado nel vantare la posizione deliziosa della Regia Città di Capri definisce “il suo territorio particolare per la produzione del vino, del lino e dei lupini. L’uno si prezza per la sua soavità, l’altro per la lunghezza e morbidezza e gli altri per la loro estraordinaria grossezza”.
Concentrandoci sul lino, possiamo affermare che la sua qualità era rinomata perchè forniva una eccellente fibra per la tessitura, in cui le donne capresi avevano affinato tecnica ed esperienza. I tessuti che ne ottenevano erano motivo di orgoglio, simbolo di lusso ed erano esportati sul continente contribuendo alla fama che la manifattura tessile napoletana si era conquistata in tutta Europa e nel Mediterraneo fin dal Ducato bizantino, tanto che gli Arabi definivano la città “Napoli del lino”.
La macerazione avveniva in apposite vasche distribuite in tutta l’isola, specie sulle colline di Anacapri, spesso a ridosso dei ruderi di antiche cisterne romane da cui si traeva l’acqua. Ma la macerazione migliore avveniva però nell’acqua di mare ed ecco allora l’utilizzo delle vasche naturali sugli scogli dell’isola.
![Il lino: pianta, filato, tessuto](https://static.wixstatic.com/media/e26125_4cd53f1307de46d2839502f47709ec37~mv2.jpg/v1/fill/w_660,h_440,al_c,q_80,enc_auto/e26125_4cd53f1307de46d2839502f47709ec37~mv2.jpg)
Particolarmente famose erano quelle nei pressi dei Faraglioni. Le giovani capresi, come la nostra Menuccia in un capitolo del nostro romanzo, scalze o al massimo con le pianelle ai piedi, scendevano in estate lungo il tortuoso sentiero tra i pini che ancora oggi conduce al porticciolo di Tragara. Portavano con loro in equilibrio sulla testa le ceste di vimini con i lunghi steli maturi della pianta, li mettevano in ammollo in grandi mazzi nell’acqua salmastra che si raccoglieva sulle scogliere e ne curavano la macerazione finché, dopo qualche settimana, non erano pronti per la lavorazione vera e propria. Quelle vasche erano ‘e fonte d’o lino e dettero il nome alla località, la Fontelina.
Dopo l’asciugatura, si proseguiva con la strigliatura che serviva per l'estrazione delle fibre di lino dalla pianta. Seguivano la pulizia e la pettinatura delle fibre e con conocchia e arcolaio si otteneva il filo utilizzato poi per il resto dell’anno al telaio.
Tutto fatto a mano dalle donne di Capri!
![Donna di Capri - Gaetano Dura (1805-1878)](https://static.wixstatic.com/media/e26125_1020c89ba33342799ab63a8a879e1577~mv2.jpg/v1/fill/w_707,h_1040,al_c,q_85,enc_auto/e26125_1020c89ba33342799ab63a8a879e1577~mv2.jpg)
Complementare alla coltivazione del lino era quella dell’erba rubbia o ruggia, Rubia tinctoria, anch’essa coltivata specialmente su Anacapri, da cui le isolane traevano la tintura per colorare le loro tele, indispensabile per variare e arricchire la loro produzione.
La lavorazione avveniva quasi sempre nella stessa unità abitativa, casa e puteca, e la finissima e bianca tela di puro lino rappresentava un ruolo importante tra le scarse fonti di reddito per le famiglie isolane che con essa ottenevano le loro camicie, parte essenziale e vistosa del bel costume isolano, teli da vendere, ma anche il filato per le reti da pesca.
Colgo l'occasione per anticiparvi che ritroveremo Menuccia e il suo lino nel terzo volume della Collana “Intrighi e Delitti nel ‘600 Napoletano” cui sto lavorando.
A presto.
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