Le storie di Napoli di nonno Arturo.
«Nonno, nonno, guarda, in quel cortile c’è una testa di cavallo!»
Mentre passeggiano per via S. Biagio dei Librai, Peppeniello strattona nonno Arturo e lo tira per la manica della giacca verso l’ingresso di un grande palazzo.
«Ah, si, il Cavallo di Napoli. Infatti, questo è noto come il Palazzo del Cavallo. Visto che il portone è aperto entriamo un attimo, tanto nessuno ci dice niente.»
I due entrano nell’androne del palazzo e Peppeniello guarda estasiato l’enorme testa che campeggia nel cortile. «Com’è grande! È di marmo?»
«No, è di terracotta ed è la copia precisa di una testa di bronzo che è conservata nel Museo Archeologico.»
Il piccolo guarda il nonno. «Perché hanno fatto una copia?»
«Beh, è una lunga storia. La vuoi sapere?»
Peppeniello annuisce con vigore. «Si, certo!»
«Adesso ti racconto. Allora, secondo una vecchia leggenda, si dice che fu Virgilio, il poeta latino…»
«Quello dell’uovo?» Chiede il ragazzino.
«Si, esatto, quello della leggenda dell’Uovo nascosto sull’isolotto di Megaride, dove c’è Castel dell'Ovo. Lui studiò filosofia a Napoli, vi visse per diversi anni e vi fu anche sepolto. Di lui la leggenda dice che era un mago e che fece forgiare un grande cavallo rampante che donò ai napoletani, di metallo dipinto di oro e rosso, i colori che sono rimasti nello stemma della città. Questa statua era miracolosa, perché alla sua sola vista tutti i cavalli che avessero una qualsiasi infermità guarivano misteriosamente. Bastava che girassero tre volte intorno alla statua.»
«E guarivano davvero?»
«Così dice la leggenda. I napoletani lo posero così in una piazzetta davanti al tempio di Nettuno, dove c’è oggi il Duomo, l’attuale Piazza Sisto Riario Sforza. E c’è rimasto per tanti anni.» Arturo si fermò e guardò la testa del cavallo. «Poiché però i maniscalchi di Napoli non facevano più affari perché non c’erano più cavalli da curare, si narra che una notte alcuni di loro si recarono presso la statua e gli bucarono la pancia. Così il cavallo perse la sua virtù e, visto che non serviva più, le autorità decisero di usarlo per farne campane per il Duomo.»
Peppeniello si imbroncia. «Povero cavallo! Quand’è successo?»
«Questo accadeva nel 1322. Adesso chissà se davvero era il cavallo di Virgilio e di certo non era miracoloso,» il gesto di nonno Arturo è eloquente, «però sembra che un cavallo di bronzo c’era davvero e fu veramente fuso, probabilmente perché i regnanti dell’epoca, gli Angioini, non volevano che il popolo rimanesse legato a quella che per loro era una superstizione, per di più di origine pagana. Fatto sta che la testa fu risparmiata e scomparve, per ricomparire poi, non si sapeva come, nelle disponibilità di Lorenzo il Magnifico, all’epoca signore di Firenze, il quale a sua volta la regalò a Diomede I Carafa, duca di Maddaloni, quello che ha fatto ristrutturare questo palazzo del XII secolo. Almeno così si credeva un tempo.»
Peppino seguiva con attenzione e ogni tanto gettava uno sguardo alla statua. «Così la testa del cavallo tornò nella nostra città?»
«Esatto. In sua memoria il Seggio di Capuana e quello di Nido avevano per insegna il famoso Corsiero Napoletano, un cavallo senza redini, ...»
Peppeniello tira la mano al nonno. «Artù, cos’è un… seggio?»
«Il seggio era l’unità in cui era divisa amministrativamente la città, come oggi i quartieri…»
Peppeniello fa cenno col capo di aver capito.
«In quel tempo si diceva anche che in origine il cavallo era senza freno...» Arturo si portò la mano alla bocca a mimare il morso del cavallo.
«Il ferro che si mette in bocca ai cavalli?» Propone timidamente il ragazzo.
«Proprio quello. E non aveva briglie, così era diventato il vessillo e simbolo della città di Napoli, indomita e ribelle e ancora oggi è simbolo della città. Quando nel 1253 Corrado IV di Svevia, secondogenito di Federico II, l’imperatore, dopo quattro mesi di assedio finalmente conquistò la città, ordinò di porre briglie e freno al cavallo e fece scolpire sulle redini un verso in latino che ricordava che lui era riuscito a domarla...»
«Che stronzo!» Esclama Peppeniello.
«Ué, Peppeniè! Non si dice!» Ad Arturo però scappa un sorriso. «C’è un’altra leggenda che vuole che quel cavallo fosse stato donato alla città da Nerone...»
«L’imperatore romano?»
«Già. Comunque, ormai è certo che questa testa qui non ha niente a che fare col cavallo della statua fusa nel 1322. Oramai studi più recenti attribuiscono questa testa, o meglio l’originale in bronzo che è nel Museo Archeologico, a Donatello, il pittore e scultore...»
«Quello del David?» Osserva con un’espressione da sapientino.
Il nonno annuisce, compiaciuto. «Bravo! E qui passiamo dalla leggenda alla storia.» Arturo prende fiato, si appoggia ad uno dei fusti di basalto vicini al piedistallo e si accinge a continuare. «A metà del 1400 a Donatello fu commissionata dal re di Napoli, Alfonso il Magnanimo, una statua equestre in bronzo che doveva celebrare il suo ingresso nella città ed essere collocata in una grande nicchia sopra l’arco trionfale del Maschio Angioino. Solo che Donatello perse tempo e realizzò solo la testa e così rimase, perché nel frattempo re Alfonso morì e quando morì pure l'artista, la nostra testa finì tra le proprietà dei Medici che governavano Firenze.»
«Che cazzimma, scommetto che il... Magnanimo l'aveva già pagata! E come ha fatto ad arrivare a Napoli?»
Lo sguardo severo di Arturo si ferma per un attimo sul ragazzino, che per tutta risposta, indifferente, fa spallucce. «Vabbè, comunque è qui che entra in ballo Carafa!» Il dito indice di Arturo ruota a indicare il fabbricato che li ospita. «Diomede I Carafa, duca di Maddaloni, che al seguito di Alfonso aveva partecipato alla conquista del Regno di Napoli da parte degli Aragonesi ed era divenuto ministro del suo successore, Ferrante d’Aragona, la ricevette in dono da Lorenzo il Magnifico, come dono diplomatico. E lui la pose nel cortile del suo palazzo, dove è rimasta fino al 1809, quando l’ultimo principe Carafa di Colubrano la donò a quello che era allora il Real Museo Borbonico, ritenendola però una scultura di età classica risalente al III secolo a. C.»
«Uanema, allora non aveva capito niente!» Peppeniello allarga le braccia.
«Beh, in verità la documentazione sulle origini della statua si erano perse, quindi non poteva saperne di più, però il principe Carafa non si era sbagliato troppo, almeno dal punto di vista estetico.»
«Cioè?»
«Donatello più o meno negli stessi anni eseguì un’altra statua equestre, quella del Gattamelata, un famoso condottiero di quei tempi, collocata davanti alla chiesa di Sant’Antonio a Padova. È molto probabile che nella realizzazione di entrambe le statue Donatello si sia ispirato a un’altra testa, ben più antica, di cavallo in bronzo, databile tra il 340 e il 330 a. C., probabilmente realizzata in Magna Grecia, che all'epoca stava a Firenze e che nel 1890 entrò nella collezione del Museo Archeologico Nazionale di quella città.»
Peppeniello guarda di nuovo il cavallo. «Così… Carafa… l’ultimo, ha pensato bene di regalarlo al Museo, però si è fatta una copia, altrimenti il posto sotto quello stemma rimaneva vuoto...» Il ragazzino indica lo stemma aragonese sulla parete e si gira a guardare il nonno. «Artù, quando andiamo a vedere l’originale?»
Komentáře